Il mulino Tibaldo ai Sanzini, storia e tradizione.

 


 

Si racconta che ai Sanzini, un mulino esistesse fin dal 1400, ma come fosse composto e a chi appartenesse non è rimasta memoria e le tracce di quel lontano  passato si perdono nella notte dei tempi.

Per sapere qualcosa di certo bisogna andare verso il 1900, quando la famiglia Tibaldo  inizia l’attività molitoria o di macinare nella contrada Sanzini , forse anche qualche anno prima, quando Cesare Tibaldo e Genoveffa Ferrari, acquistarono il mulino e si stabilirono proprio nel mulino, come quasi sempre succedeva nel passato, bottega o laboratorio facevano parte dello stesso fabbricato.

Nel mulino che allora si trovava in contrada Cartiera (i Cattazzi) marito e moglie lavoravano assieme ai quattro fratelli di lui finche nel 1898 nacque Guglielmo, primogenito e unico figlio di Cesare e Genoveffa, dopo di che decisero di continuare da soli a lavorare nel mulino.

La vita era dura e fatta di stenti e riuscire a sfamare la famiglia in quei tempi era un’impresa epica.

Si partiva al mattino presto con il mulo da soma, dove si dovevano caricare i sacchi a basto, cioè sulla schiena dell’animale, non si poteva certo usare il carro nei disastrati sentieri che  Guglielmo  doveva percorrere  per ritirare o consegnare il granoturco oppure il macinato nelle sperdute contrade.

L’acqua della roggia era una grande ricchezza e l’unica fonte di energia. A quel tempo il funzionamento del mulino era a “palmenti” ossia con le macine in pietra (le cosi dette Mole).

Si macinava un po’ di tutto: mais, orzo, avena, frumento, segala e talvolta castagne essiccate, ma quest’ultime destinate ai maiali.

Il piccolo Guglielmo intanto cresceva e apprendeva con passione  il mestiere del padre. Quando scoppiò la Grande Guerra, Guglielmo aveva diciotto anni; era il 1916 quando partì per il fronte e vi tornò dopo circa due anni, ferito da una scheggia che lo rese cieco di un occhio.

E come se non bastasse la dura vita di quel tempo, il figlio Guglielmo in guerra, ci fu anche un’alluvione che spazzo via numerosi ponti, fino a Molino, risparmiando solo quello dei Covoloni e questo evento costrinse Cesare, il mugnaio di allungare molto la strada per compiere le consegne dall’altra parte del fiume.

 

Al ritorno dalla guerra, Guglielmo riprese comunque il lavoro e fu un grande aiuto per la famiglia. Già fidanzato con Angela Maddalena, a ventun anni circa si sposò e andò ad abitare con i genitori.

Il mulino rimase strutturato così come era , ma ora Guglielmo sostituisce completamente suo padre Cesare nel lavoro e Angela, detta Angelina, collabora come può : mentre Guglielmo compie le consegne con il mulo, lei provvede alla cucina e dà una mano anche laggiù nella mola ( la stanza dove si trovavano le ruote per la macina).

Sarà dopo gli episodi di rappresaglia del ’44 ed il conseguente incendio al mulino che questo subirà i primi importanti cambiamenti.

Nel frattempo, fra il 1921 e il 1941 Guglielmo e Angelina avranno nove figli. L’ultima figlia, Flora (attualmente missionaria in Ecuador) nascerà proprio il giorno dopo la partenza del fratello maggiore Attilio, per la seconda guerra mondiale.

Infatti Attilio, primogenito di Guglielmo, porterà avanti con il padre il lavoro ma con un’importante aggiunta, il carretto da attaccare al mulo per il trasporto di una maggiore quantità di sacchi.

Scoperta scontata? No, perché il passaggio del carro fu reso possibile dall’allargamento delle strade fatte per consentire il transito dei mezzi bellici.

Ma arriverà subito un colpo d’arresto: era il 1941 e Attilio viene chiamato alle armi e vi rimane fino al 1945. Nel frattempo la guerra dove passa compie i suoi danni, ma dal fronte non giunge nessuna notizia di casa.

Il mulino viene bruciato, il padre Guglielmo e un fratello (si chiamava Cesarino) assieme ad altri quattro della contrada vengono fucilati.

Mamma Angelina, con il resto della famiglia, si sposta ospite nella casa della sorella in contrada Colombara.

Solo al ritorno dalla guerra, Attilio si scontra con una tragica realtà: non ha più niente, ne casa, ne mulino, ne padre, ne l’adorato fratello. Che fare?

Non c’era tempo per il dolore e lo sconforto, non c’erano soldi ma la voglia di il buon rapporto con i vicini.

Decise di cimentarsi nel lavoro dei suoi predecessori, costruendo dapprima il mulino a frumento e solo successivamente un ulteriore ampliamento per la macina del granoturco o mais: con l’aiuto della mamma, delle sorelle e del fratello Igino.

Il carretto fu sostituito da una jeep americana e più tardi da un camioncino.

Palmina e Attilio Tibaldo nei primi anni '50.

Attilio non si perse d’animo, forte del ricordo del nonno Cesare, di papà Guglielmo, si rimboccò le maniche e ricominciò a ricostruire ciò che la follia umana distrusse, ebbe il coraggio di guardare con fiducia al futuro e assieme alla sua sposa Palmina ha dato vita ad una numerosa famiglia, che continuerà nel tempo la storia del mulino a lui tanto cara, anche se oggi i tempi sono cambiati e bisogna adeguarsi alle richieste dei clienti, quindi non più solo farine e cereali ma anche strumenti di lavoro, sementi, ferramenta e mille altri articoli.

                                                       

                                                                

                                                                

Flora Tibaldo assieme al fratello Cesarino ed al marito Dario continua a portare avanti la lunga storia della famiglia Tibaldo ed il suo mulino.

                                                          


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